Alle otto e mezzo del mattino una gigantesca voluta di fumo nero si sprigiona dalla miniera di carbone di Bois du Cazier, a ridosso di Marcinelle, nel comune di Charleroi in Belgio. La bestia ha spiegato le sue ali di fuoco nero a mille metri sotto il livello della dignità umana. Muoiono 262 minatori, e di questi 136 sono italiani

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Erano lì già da un po’ di anni i nostri minatori. In quel posto sperduto della Vallonia, in Belgio, a Charleroi. Lavoravano nel sobborgo operaio della cittadina chiamato Marcinelle. Loro, come i tanti italiani presenti nelle miniere di mezza Europa negli anni ’50, erano invogliati dal bisogno e dal governo ad andare a lavorare all’estero. Il viaggio verso il Belgio era pagato dallo Stato italiano, in virtù del patto bilaterale concluso con il Belgio nel 1946. L’Italia si impegnava ad avviare 5.000 lavoratori l’anno nelle miniere belghe. Il Belgio corrispondeva al nostro Paese una quantità di carbone per le acciaierie. I minatori vivevano in baracche ricavate dagli alloggi rinvenuti negli ex lager nazisti, venivano sottoposti ad accuratissime e severe visite mediche. Le condizioni di lavoro erano brutali. Scendevano in miniera fino a 1350 mt. di profondità per estrarre il carbone. La temperatura raggiungeva i 42 °C. Le gallerie erano alte 3 metri e larghe 3 in media. Si era costretti a lavorare, però, anche in cunicoli ben più angusti, ai limiti della sopportabilità umana. Il materiale utilizzato veniva spostato con carrelli trainati da cavalli e asini. Il carbone veniva portato alla superficie con un ascensore a quattro piani. Per scavare le gallerie veniva usata la dinamite. Attraverso il buco praticato poteva passare il gas letale (grisù). La lampada a olio, simbolo dei minatori, segnalava loro, con lo spostamento della fiamma, la presenza o l’assenza del gas. Molti di loro, dopo una vita di durissimo lavoro, spesso facendo i pendolari tra l’Italia, dove erano rimaste le famiglie, e il luogo di lavoro, oppure dopo essersi definitivamente stabiliti in Belgio, in Svizzera, in Germania, morivano prematuramente, sovente alle soglie dell’agognata pensione, per malattie respiratorie, silicosi perlopiù e neoplasie legate al lavoro in miniera effettuato per anni senza alcuna protezione. Quella mattina dell’8 agosto del 1956 a Marcinelle, nella miniera di carbone Bois du Cazier ebbe luogo uno dei più terribili incidenti minerari della storia recente. Alle 8:10 un macchinista addetto ad una delle gabbie del pozzo di estrazione si accorse che essa si era improvvisamente arrestata e non rispondeva più ai comandi. Il carrello aveva tranciato i fili della corrente elettrica e della condotta dell’olio. Il corto circuito provocò un incendio che si propagò rapidamente ai cantieri sotterranei. Dei 275 lavoratori presenti in miniera solo 13 riuscirono a salvarsi, gli altri andarono incontro ad una fine orrenda. Morirono asfissiati, non avendo in dotazione neanche le maschere antigas. Le ricerche e i soccorsi andarono avanti per giorni, ma senza risultati. 262 i morti, 136 gli italiani, 7 i molisani. Fu aperto un processo per accertare le responsabilità, ma i dirigenti della società mineraria vennero assolti. La colpa fu attribuita all’addetto alla manovra del carrello. I lavori nella miniera di Marcinelle ripresero nell’aprile del 1957 e continuarono ancora per altri 10 anni e fino al 9 dicembre del 1967 quando venne definitivamente chiusa. L’ultima miniera della Vallonia, quella di Roton, continuò a lavorare fina al 30 settembre 1984 grazie anche ad una forte presenza di manodopera italiana. I morti di Marcinelle non furono purtroppo gli unici italiani periti in quegli anni nelle miniere del Belgio. Complessivamente dal 1947 al 1963 furono 867 i nostri connazionali che pagarono con la vita le proibitive condizioni di lavoro all’interno delle miniere. 7 furono i molisani che l’8 agosto del 1956 morirono nella miniera di Bois du Cazier – CASCIATO FELICE – S. ANGELO DEL PESCO – CICORA FRANCESCO – S. GIULIANO DI PUGLIA 1908 – GRANATA FRANCESCO – FERRAZZANO 1916 – GRANATA MICHELE – FERRAZZANO 1913 – MOLITERNO MICHELE – FERRAZZANO 1917 – NARDACCHIONE PASQUALE – S.GIULIANO DEL SANNIO 1930 – PALMIERI LIBERATO – BUSSO 1920. Due di essi, Granata Francesco e Michele erano fratelli. La salma di Francesco Cicora, invece, coma quella di tanti altri, non è stata mai ritrovata. I suoi cari devono accontentarsi di portargli dei fiori su una delle tante lapidi presenti nel cimitero di Marcinelle che recano la dicitura “INCONNU”(sconosciuto). UN CAMMINO NELLA MEMORIA Un lungo e certosino lavoro nel ricordo collettivo della tragedia di Marcinelle ha portato a realizzare negli anni 2001 e 2002 un tributo importante alla memoria dei caduti molisani. Il Primo Maggio del 2001, grazie all’interessamento delle istituzioni e di tanti molisani comuni, in particolare dei Signori Anna Di Nardo (Console Regionale dei Maestri del Lavoro del Molise) e Giuseppe Ruffo, il Governo ha conferito ai sette minatori nostri corregionali scomparsi a Charleroi la Stella al Merito del Lavoro. Nel 2002 il Consiglio dei Ministri ha dedicato l’8 agosto di ogni anno al ricordo del sacrificio del lavoro italiano nel mondo. Nello stesso anno, proprio l’8 agosto, grazie al Progetto Marcinelle portato avanti dal Consolato Regionale del Molise dei Maestri del Lavoro e dalla Federazione Maestri del Lavoro d’Italia, patrocinato dal Ministero degli Italiani nel mondo, è stata donata al Museo della Memoria che si trova proprio nella miniera una campana fusa dalla Pontificia Fonderai Marinelli di Agnone. La campana porta il nome di Maria Mater Orphanorum, in ricordo dei 406 orfani dei minatori. Alle 8:10 di ogni anni, l’8 agosto, la campana suona 262 rintocchi per i minatori deceduti, altri 10 per i caduti di tutte le miniere nel mondo, infine suona a distesa in onore delle vedove e dei figli per richiamare le genti a meditare su quanto accaduto 61 anni fa a Marcinelle. foto: https://francescalamarcadotcom.files.wordpress.com/2016/08/marcinelle-151.jpg


08/08/2018

Giulia Enrica D'Ambrosio

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