Di gentilezza ne abbiamo davvero bisogno. Nel mondo contemporaneo, tra personaggi pubblici che urlano e insulti in tv, pare che la gentilezza sia passata di moda. Chi è gentile sembra noioso e fragile.

Image placeholder

Il perché lo spiegava qualche tempo fa Valentina D’Urso, docente di psicologia generale all’Università di Padova: «In questi ultimi anni dominano valori come successo, soldi, potere». Sembra non sia più importante la gentilezza, «intesa come amorevolezza e generosità, ma anche come buone maniere. Al contrario chi ha successo e denaro lo fa pesare non accettando le regole della gentilezza: formale (non esibire) ed emozionale (non umiliare)». Un comportamento evidente in tv: ci si comporta in modo da mettere a tacere chi parla piano e si esprime in modo articolato. Ed è il trionfo della cafonaggine. Eppure, la gentilezza può renderci persino più forti. Può aiutarci a ottenere risultati migliori lavorando in team. Ed è indispensabile per la vita in comunità. Perché, innanzitutto, un atto cortese fa bene a chi lo riceve e all’intera società. Che cos'è la gentilezza? La gentilezza ha due facce. La prima è la buona educazione formale e l'osservanza delle regole sociali. Significa avere buone maniere, seguire il galateo, l'etichetta. La seconda, più importante: significa essere brave persone. Ovvero accoglienti, generosi, altruisti. E poiché un atto cortese e altruista fa bene non solo a chi lo riceve ma anche a chi lo compie (e pertanto all'intera società), ecco 4 motivi buoni (a detta anche della scienza) per cui vale la pena essere gentili. 1. Fa bene alla salute Essere cortesi e ben disposti verso il prossimo fa bene al cuore: le probabilità di ictus e infarto aumentano in coloro che hanno un temperamento aggressivo. lo ha provato uno studio italo-americano dei ricercatori del National Institute on Aging di Baltimora: hanno preso in esame 5.614 sardi di età compresa fra i 14 e i 94 anni e hanno verificato che i soggetti dotati di un temperamento più competitivo tendono a sviluppare più facilmente un ispessimento delle carotidi e, quindi, il rischio di arresto cardiaco anche del 40% (indipendentemente dagli altri fattori di rischio cardiovascolare più tradizionali, come il fumo, l’ipertensione o il colesterolo alto). La gentilezza è una dote contagiosa. Perché smonta l’aggressività altrui, migliora le prestazioni sul lavoro e i rapporti sociali. E scatena l’emulazione con i neuroni specchio, alla base dell’empatia. | Corbis 2. È la miglior arma nelle liti Può risolvere al meglio le liti, anche quelle che possono diventare violente. Perché ha un effetto spiazzante mentre, al contrario, l'aggressività chiama aggressività. Prendiamo la classica lite tra automobilisti. L'altro ci insulta, magari alza pure il dito medio della mano. Che fare? Risponde Daniela Mapelli, docente di neuropsicologia all'Università di Padova: «Nelle situazioni stressanti come queste, dove tutti diamo il peggio di noi, bisognerebbe sforzarsi di chiedere scusa, e farlo sorridendo. L'altro dovrà cambiare completamente registro: il suo cervello sarà costretto a elaborare uno stimolo completamente diverso». Funziona? Provare per credere. Anche se davanti alle ingiustizie, è faticoso. 3. Aiuta nel lavoro Applicare la gentilezza è una strategia vincente anche sul lavoro. Michael Tews, della Pennsylvania State University, ha dimostrato che i selezionatori del personale per ristoranti scelgono più spesso candidati con alti livelli di gradevolezza, anche a scapito di altri più intelligenti. Non solo. La gentilezza dà ottimi risultati nel lavoro di gruppo. Lo ha mostrato ­Jonathan Bohlmann della North Carolina State University, creando team sperimentali al lavoro su un progetto. Analizzando quanto i membri del team si sentivano trattati bene dal leader, è emerso che un “bravo” capo, che tratta i collaboratori con equità, gentilezza, e considerazione, ottiene risultati migliori. «Gli effetti?» spiega Bohlmann. «Primo, i singoli membri del gruppo eseguono meglio i loro compiti. Secondo, la performance del team migliora. Terzo, la percezione di essere trattati bene aumenta il coinvolgimento e porta a un impegno continuo nel futuro. E spinge anche a lavorare di più. Un boss autoritario percepito come ingiusto non crea invece questi effetti nella squadra». 4. Previene il bullismo a scuola Insegnare ai bambini la gentilezza fa bene a loro stessi (i bambini gentili sono i più popolari) e anche alla comunità scolastica (previene il bullismo). Lo ha dimostrato uno studio della University of British Columbia su 400 bambini tra i 9 e gli 11 anni di una scuola elementare di Vancouver, in Canada. Spiega la ricercatrice Eva Oberle: «Abbiamo assegnato due compiti differenti a due gruppi di bambini per 4 settimane: un gruppo doveva compiere tre piccoli atti di gentilezza a scelta in un giorno, come condividere la merenda con i compagni o aiutare la mamma a cucinare; un altro doveva recarsi in posti piacevoli, come la casa dei nonni o il parco. Dai test finali è risultato che il grado di felicità e soddisfazione era aumentato in entrambi i gruppi, ma i bambini che avevano compiuto atti di gentilezza erano i più popolari: avevano guadagnato in media 1,5 amici». «I ragazzi imparano a capire le emozioni e la prospettiva degli altri: queste sono competenze sociali preziose» spiega Oberle. «Aumentando i livelli di gentilezza in aula si aumentano fiducia e collaborazione. E questo potrebbe contrastare il bullismo». Neuroni specchio. Ma chi ci garantisce di non sprecare fatica per chi non ricambia la cortesia? Innanzitutto, la gentilezza innesca una specie di effetto domino: le comunità umane sono regolate dal meccanismo della reciprocità (già per Cicerone non c’era dovere più indispensabile del “restituire una gentilezza”), che scatta per favori e cortesie. E le neuroscienze evidenziano i meccanismi alla base. Come spiega Mapelli, entrano in gioco i neuroni specchio, fondamentali per empatia e contagiosità della gentilezza: «Grazie ai neuroni specchio gli esseri umani sono predisposti a imitare l’azione e a cogliere le emozioni degli altri. Quindi, se ho di fronte una persona che sorride, i neuroni specchio mi spingeranno a imitare questo tipo di comportamento e sarò ben disposto. Ma la contagiosità dipende anche dall’apprendimento: se mi hanno insegnato a essere ben educato, io metterò in atto quel comportamento con una frequenza elevata». Foto: tutte le foto sono tate prese online su internet


12/11/2018

Claudio Varriano

17884

Facebook