Il verde Molise, fra preistoria, riserve della biofera, oliveti e tratturi 2/3

L’olio di Venafro era ben noto nell’antichità, è sicuramente il più citato dagli autori antichi. Per Marco Porcio Catone (II sec. a. C.) gli oliveti di Venafro rappresentano un modello ideale per questa coltura, del resto parlava con cognizione di causa perché possedeva una villa rustica nel territorio.

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Plinio nel “De Oleo” afferma che a Venafro spetta il primato mondiale dell’olio grazie alla celeberrima oliva liciana. Ed ancora Orazio nelle “Odi” ritiene impareggiabile l’olio venafrano nelle salse; lo citano anche Varrone, Virgilio, Strabone, Marziale e Giovenale che nelle Satire ironizza sul ricco Virrone che sul suo pesce versa olio di Venafro, mentre all’ospite serve olio lampante.

La superficie coltivata ad olivi è ancora considerevole anche se notevolmente ridotta negli ultimi decenni a causa degli abbandoni e degli incendi; si possono incontrare esemplari pluricentenari.
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Vi sono coltivate varietà autoctone come l’Aurina forse da identificare con la “Licinia” dei romani.

Le rupi calcaree spesso a strapiombo ospitano numerose specie di rapaci come il lanario e la poiana; dove finiscono gli oliveti si incontrano boschi soprattutto di roverelle.

I percorsi a piedi portano a esplorare anche resti di mura sannitiche e poi romane che formavano una triplice cerchia di fortificazioni intorno a Venafro.
La caratteristica Torricella che si nota su uno sperone di roccia faceva parte di un sistema di avvistamento e controllo della pianura sottostante. Si possono vedere anche i resti di una villa romana e quelli dell’Anfiteatro e del Teatro romano.

Interessante è anche la visita alla cattedrale romanica situata alla periferia della cittadina, all’imbocco del parco degli olivi, risale al XV secolo.

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Cattedrale di Venafro

Il massiccio del Matese, (http://www.matese.org/) al confine fra Molise e Campania, è uno dei più importanti dell’Italia peninsulare per l’estensione, la ricchezza delle acque che ne scaturiscono e l’altezza dei suoi monti alcuni dei quali sfiorano i duemila metri. Su queste alture combatterono e morirono gli ultimi sanniti prima di essere sconfitti dai romani (III secolo a.C.).

La natura carsica del massiccio dà origine a molteplici fenomeni di carsismo sia superficiale che profondo: bacini, doline, voragini. Il lago del Matese, con i suoi 1011 m slm, è il bacino carsico più alto d’Italia, posto ai piedi delle vette maggiori del massiccio: il monte Miletto e il monte Gallinola. Fra la vegetazione palustre delle sue rive trovano rifugio numerosi uccelli acquatici.

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Lago del Matese

Nelle faggete del comune di Campochiaro si aprono numerose cavità, la più importante è il Pozzo della Neve la grotta più profonda del’Italia meridionale (-1048 m, sviluppo circa 9000 m).

Se verranno scoperte le comunicazioni con altre grotte molto vicine può costituire uno dei più estesi complessi sotterranei d’Italia con uno sviluppo di circa 30 km. Le cavità erano conosciute fin dai tempi antichi e sfruttate come deposito per la neve che veniva poi venduta a valle. Dagli anni cinquanta del secolo scorso sono iniziate le esplorazioni speleologiche che proseguono tuttora attirando speleologi da tutta Europa.

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Pozzo della Neve

Le Riserve della Biosfera diCollemeluccioeMontedimezzo (http://www.assomab.it/aree-mab/mab-montedimezzo.html) nei comuni di Carovilli e Pescolanciano, fanno parte di una rete mondiale nell’ambito del programma MaB, (Man and the Biophere) avviato nel 1971 dall’UNESCO con lo scopo di mantenere un equilibrio duraturo fra l’uomo e il suo ambiente attraverso la conservazione della biodiversità, la promozione dello sviluppo economico e la salvaguardia dei valori culturali.

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