Le creme antirughe funzionano? Il sapone-non-sapone lava davvero? Quali sono i segreti per capelli più sani? E ancora: cos’è il numero che troviamo sui flaconi dei filtri solari? La cellulite è una malattia da curare? Possiamo distinguere quali cosmetici vengono testati sugli animali? E che cos’è la tanto acclamata acqua micellare?
La risposta a queste (ma anche a molte altre) domande arriva da Beatrice Mautino, biotecnologa e divulgatrice scientifica, nel suo ultimo libro, Il trucco c’è (e si vede): un’indagine a tutto tondo nel complicato mondo dei prodotti per l’igiene e la bellezza.
A partire dall’incontro con un’etichetta tutta particolare, l’autrice ci accompagna tra le corsie del supermercato, profumerie, farmacie e laboratori di chimica e biologia per raccogliere le storie degli ingredienti, spesso curiosi, che compongono tutto ciò che affolla l’armadietto del nostro bagno. Ma anche la mensola della doccia e il nostro beauty case.
Per darvene un assaggio, ecco cinque tra le questioni affrontate. Con buona pace del trucco (che non sempre è quello nella trousse bensì quello, più difficile da scovare, del marketing).
1. Creme di lusso (ma anche no)
Prendete una crema idratante, mettetela in due contenitori differenti e ponetene uno su un semplice scaffale del supermercato e uno nella vetrina della vostra profumeria preferita. La prima al prezzo di cinque euro, la seconda alla modica cifra di 80. Se vi sembra strano, sappiate che può tranquillamente capitare che il prodotto di un’unica azienda (fatto cioè con gli stessi strumenti e gli stessi ingredienti) si inserisca nel mercato attraverso canali differenti. A prezzi completamente diversi, come l’esempio qui sopra.
Ma quindi, nella scelta di una crema idratante, o dei cosmetici in generale, un prezzo elevato non è sempre segno di alta qualità (e viceversa)? Esatto. Anche se il prezzo – a modo suo – conta. Acquistare un prodotto che si presenta bene, venduto in un negozio che ci piace, a un certo prezzo, contribuisce infatti a rendere più piacevole l’esperienza di indossarlo rispetto a uno da quattro soldi, un po’ come nel famoso effetto placebo che ritroviamo in medicina. Studi condotti su gruppi di donne alle prese con creme costose o economiche (ma inconsapevoli del prezzo del prodotto) hanno messo in luce come quelle convinte di spalmarsi le più costose fossero davvero più soddisfatte rispetto alle altre. Eppure, a un esame dermatologico obiettivo, il risultato era identico per tutte. Un caso emblematico per mostrare quanto, a volte, sia davvero il flacone a fare la differenza più che il contenuto.
2. Il capello che respira
Non bisogna usare prodotti che soffocano i capelli, devono respirare. Chissà quante volte, parlando di shampoo, balsami o gel, avrete sentito dire che altrimenti le nostre chiome si sciupano, i capelli muoiono e poi cadono. E avrete acquistato prodotti naturali o privi di siliconi che promettevano di prendersene cura. Eppure chimicamente, spiega l’autrice, quello che vediamo del capello è fatto solo da “cellule morte, grassi, fibre e proteine. Vedete qualcosa di vivo qua in mezzo?â€. La risposta è no, perché di fatto l’unica porzione del capello viva e vegeta è quella dentro il bulbo pilifero, al riparo nel nostro cuoio capelluto, non di certo le lunghezze. Cosa mai potrebbe respirare, in una struttura di questo tipo? Nulla, appunto.
I capelli, si spiega nel libro, anziché fatti respirare andrebbero semmai protetti: si è visto che anche solo spazzolarli senza l’aiuto del balsamo sfalda le cuticole di rivestimento e li rende molto più fragili.
3. Parabeni sì, parabeni no
Hanno un’azione antimicrobica, che li rende degli ottimi conservanti, tanto che sia in cosmetica che in ambito alimentare li impieghiamo da decenni. Ciò nonostante i parabeni non se la passano benissimo. A partire da uno studio del 2004, che metteva quelli contenuti nel deodorante in relazione all’insorgenza di tumori al seno, queste molecole vengono infatti identificate come uno dei nemici numero uno per il consumatore. E, di conseguenza, per ogni azione di mercato che si rispetti.
Peccato che lo studio fosse in realtà molto meno attendibile del previsto, che i media avessero gonfiato irresponsabilmente la notizia, e che, pochi anni dopo, una grossa revisione delle ricerche scientifiche condotte sull’argomento confutasse (per fortuna) del tutto questo capo d’accusa. A oggi, sia la Fda (Food and Drug Administration) statunitense sia gli enti regolatori dell’Unione Europea hanno dichiarato queste sostanze sicure e ne consentono l’uso. Ma cercare (e vendere) prodotti paraben free interessa ancora a molti.
4. “Nessun animale è stato maltrattato durante la produzione di questo rossettoâ€
Il simbolo è un coniglietto stilizzato, il significato è (più o meno) quello del titolo, ma applicato non solo ai rossetti, bensì anche a creme, docciaschiuma, soluzioni struccanti: insomma, a tutti i prodotti cosmetici e per la nostra igiene venduti in Europa. La presenza del “bollino†è, in poche parole, un modo chiaro e lampante che alcune aziende hanno assunto per segnalarci che i loro prodotti non sono testati sugli animali, e così anche i loro ingredienti, e che inoltre si impegnano a non venderli a quei paesi extra-Ue dove la sperimentazione è ammessa. Peccato che, ormai dal 2013, per la legge europea l’uso degli animali per i test cosmetici sia già vietato, e che quindi ogni altra indicazione cruelty free in etichetta sia pressoché ridondante.
Fortunatamente, grazie al lavoro degli scienziati e a nuove tecnologie (così come alle informazioni raccolte nei test del passato) esistono oggi metodi alternativi che permettono di sondare la sicurezza e l’efficacia di prodotti come questi lasciando in pace topi e altri animali da laboratorio e che si servono, per esempio, di modelli artificiali di pelle umana.
5. Caccia alla cellulite
Per le donne è una croce. Per chi vende i prodotti contro, una miniera d’oro. Per alcune aziende “una malattiaâ€. Quello della cellulite è uno degli esempi meglio riusciti del libro per mettere in luce l’enorme divario che a volte si manifesta tra il metodo scientifico e le proposte più disparate di prodotti sul mercato, articoli nelle riviste e pubblicità un po’ ovunque. Tra le pagine, oltre alla descrizione dei meccanismi fisiologici che formano gli inestetismi che la cellulite porta con sé (la famosa buccia d’arancia), compare anche il riferimento allo studio che, a seguito di un’analisi del fenomeno, per primo ha dichiarato che trattasi di (parole testuali) una “malattia inventataâ€: correva il 1978. Sono trascorsi 40 anni, ma ancora non tutti ci siamo messi in testa che siamo davanti a una caratteristica fisiologica e non di un male da curare e debellare dall’umanità .
E che dire di tutte le strategie per provare a sconfiggerla? Dai fanghi ai fondi di caffè, dalle creme di ultima generazione alle sedute di laserterapia e ultrasuoni, esiste qualcosa in grado di spianarla sul serio? A dire il vero, a dispetto di un’offerta spropositata di trattamenti, sembra proprio che nessuno si sia dimostrato finora definitivamente efficace. Il che significa che, nonostante in qualche caso i ricercatori abbiano riscontrato (piccoli) miglioramenti, si trattava di un effetto solo temporaneo e non risolutivo. Per i miracoli, insomma, dovremo attendere ancora un po’.
Foto e articolo preso online