Venafro - La città romana

L’alta valle del Volturno, delimitata dal massiccio del Matese a sud-est e dalle Mainarde ad est, costituisce il settore più occidentale del Sannio pentro e in esso la piana di Venafro rappresenta la via d’accesso preferenziale al Sannio dalla Campania e dal Lazio. Il centro si connota quindi, fin dai tempi più antichi, come punto di primaria importanza strategica e commerciale.

Non si può stabilire con esattezza il momento in cui ha avuto origine l’insediamento sulle pendici del monte S. Croce, anche se la presenza, ai piedi della montagna, di un santuario frequentato almeno a partire dal IV secolo a.C., blog molisetour.it deve aver influito notevolmente sullo sviluppo del centro. Di questo luogo di culto è visibile solo parte di un terrazzamento in opera poligonale, individuato a monte della città moderna, in una posizione fortemente dominante sulla piana. All’inizio del III secolo a.C., alla fine delle guerre sannitiche, Venafro si presenta come il centro principale di questo settore della valle del Volturno ed entra nel sistema amministrativo romano, come praefectura, intorno alla metà del secolo. Continua a svilupparsi nel corso del I secolo a.C. e raggiunge il momento di massimo splendore con la deduzione della colonia augustea, probabilmente nel 14 a.C. Si ha allora una ristrutturazione urbanistica secondo un sistema di assi stradali ortogonali e la costruzione dei più importanti edifici pubblici e privati.
Un cambiamento profondo si ha a partire dalla metà del IV secolo, a causa del terremoto che sconvolge il Sannio e la Campania; la popolazione di Venafro si sposta sull’altura orientale dell'area urbana e dà vita al borgo medievale, abbandonando il settore occidentale del centro.


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La cinta muraria, costruita in opera incerta e visibile in alcuni tratti, racchiude Venafro inglobando all’interno anche un settore del monte S. Croce. L’epigrafia conserva il nome di C. Aclutius Gallus testimoniando il suo ruolo di magistrato straordinario preposto alla costruzione delle mura urbane, probabilmente intorno al 40 a.C.
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Il teatro viene costruito in età augustea sulle pendici del monte S. Croce, sulla stessa linea del terrazzamento dell’antico santuario repubblicano, in modo da costituire un coronamento monumentale e scenografico dell’abitato. Comprende inizialmente l’ima e la media cavea, separate da un passaggio semicircolare; la summa cavea viene costruita successivamente utilizzando un robusto sistema di sostruzioni che avevano anche lo scopo di contenere il terreno alle spalle. Nel II secolo d.C. viene costruito ad ovest del teatro un grande ninfeo e successivamente gli impianti idraulici finalizzati all’allestimento dei giochi d’acqua nell’orchestra. Il terremoto del 346 d.C. porta all’abbandono del teatro e allo smantellamento di parte della decorazione architettonica e scultorea che viene raccolta all’interno di un ambiente del ninfeo stesso, probabilmente in vista di un successivo restauro che non avvenne mai. Già nel V secolo, infatti, alcune parti del monumento vengono utilizzate come ricovero e abitazioni private.

L’anfiteatro (il cosiddetto Verlascio o Verlasce) viene costruito nel corso del I secolo d.C. immediatamente all’esterno della città e si conserva grazie alla sovrapposizione di case rurali ai ruderi romani avvenuta nel corso del 1600. Si è così realizzata la caratteristica struttura ovale, interrotta in tre punti dalle vie di accesso allo spazio centrale, che dell’anfiteatro conserva la forma e tratti di muratura in opera mista. È stata inoltre rinvenuta l’iscrizione che caratterizzava ciascun ingresso del teatro e che ricordava il finanziamento di un membro della gens Vibia, una delle famiglie più importanti della Venafro di età imperiale.
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Le necropoli della città romana si individuano lungo le vie che escono dalla città in direzione di Cassino, Teano e Isernia. Lungo la strada per Cassino, in particolare, sono visibili diversi monumenti funerari di particolare interesse. Si segnala inoltre la diffusione di resti di monumenti funerari isolati, al di fuori delle aree di necropoli, attestanti l’uso di costruire il sepolcro all’interno dei propri terreni.

L’edificio in via Carmine 10 ha restituito alcuni vasti ambienti pertinenti ad una ricca domus o ad un edificio pubblico con pavimenti musivi di particolare bellezza e pareti decorate con affreschi di III stile pompeiano, databili intorno alla metà del I secolo d.C.
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Le strutture di via Licinio appartengono probabilmente ad edifici privati di età imperiale. Alcuni ambienti conservano resti di pavimento in marmo e a mosaico; tra questi si segnalano alcune pavimentazioni in mosaico nero con tasselli di marmi policromi della seconda metà del I secolo a.C. Si ritrovano inoltre, come in via Carmine, terrecotte architettoniche con raffigurazioni di grifi affrontati.

Dell’acquedotto conosciamo numerosi tratti e possediamo l’editto che ne stabiliva le regole d’uso. Costruito probabilmente tra il 17 e l’11 a.C. è lungo circa trenta chilometri e supera un dislivello di più di 300 m dalla captazione, alle sorgenti del Volturno, fino al punto di arrivo nella parte alta della città in corrispondenza di un castellum aquae (serbatoio), non individuato con precisione. La struttura è quasi completamente sotterranea, esce allo scoperto solo per attraversare corsi d’acqua o valloni per mezzo di ponti. È in parte costruito in opera cementizia e in parte scavato nella roccia, con pavimento in laterizi, volta a tutto sesto e pareti rivestite con malta idraulica. Lungo il percorso sono collocati dei cippi riportanti la prescrizione di lasciare liberi due percorsi di servizio ai lati della conduttura.
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Il tempio di Magna Mater non è stato ancora individuato con certezza, ma doveva essere di una certa importanza viste le concessioni di terre fatte da Augusto e testimoniate dalle fonti e da documenti epigrafici. Il culto era stato inizialmente collegato ad una sorgente di acque sulfuree lungo il corso del Volturno esistente, ma i resti individuati si riferiscono ad un complesso termale di età imperiale; si è successivamente ipotizzato che potesse sorgere dove è ora la cappella di Monte Vergine, al di sopra del castello. Qui è stato infatti individuato un grande terrazzamento, realizzato in opera cementizia, su cui doveva essere costruito un edificio pubblico, molto probabilmente un tempio. Se da un lato mancano elementi che possano rendere certa questa attribuzione dall’altro ne sostengono l’ipotesi la posizione elevata e la continuità del culto femminile.

Le ville rustiche. Il territorio di Venafro è caratterizzato dalla presenza di ville rustiche connesse allo sfruttamento agricolo con la produzione di grano, vino e soprattutto olio. Il complesso di Madonna della Libera è esemplificativo a tale riguardo, restituisce infatti una serie di terrazzamenti in opera poligonale con resti probabilmente pertinenti ad una villa della fine del II secolo a.C. Un’altra testimonianza importante proviene dal comune di Pozzilli, località Cerqueto, in cui è stata identificata una villa rustica sorta in epoca repubblicana, in uso per tutta l’età imperiale. Ha una parte destinata alle attività produttive con magazzini, ambienti di servizio, in cui erano collocati la macina per i cereali e il frantoio per la spremitura delle olive (trapetum) ed una parte residenziale decorata con pavimenti musivi e stucchi alle pareti.

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