I Cappellacci, l’origine è molisana

Fra le cose che uniscono il nostro bel Paese c’è sicuramente l’arte culinaria.
Piatti tipici locali sono dievenuti piatti nazionali.
Un esempio di questo è dato dai Cappellacci, molto simili ai tortellini, ma la cui origine sembra essere molisana.

Ma l’attribuzione della paternità al primo piatto della tradizione molisana rimane un affascinante impasto di storia e leggenda.
Un cocktail di racconti tramandati di generazione in generazione che rende i cappellacci un piccolo, grande “mistero” della cucina italiana.
C’è chi sostiene infatti che sia stato un gendarme buongustaio, impegnato a dare la caccia ai malandrini che fino al 1870 tenevano sotto scacco l’intero Molise, a inventare questo cono di sfoglia molto simile al cappello dei banditi di quel tempo.
Altri, invece, sostengono che i cappellacci sono figli di un’antica contesa gastronomica disputata (non si sa quando) tra le famiglie più in vista del paese.
Un fatto è però certo: una volta, le massaie si facevano costruire dallo stagnino un piccolo attrezzo a forma di cono con cui confezionavano a dovere i cappellacci.

Arnesi della tradizione che oggi sono stati sostituiti dalle dita delle mani che prima impastano vigorosamente farina, uova, acqua e sale; poi tirano la sfoglia da cui si ricavano dei dischetti di 3 centimetri di diametro (ottenuti usando un piccolo bicchiere da liquore) e, infine, avvolgono il cerchio di pasta soda e liscia sulla punta del dito indice per ripiegarlo a cono facendo bene aderire il bordo.
E poi c’è un segreto: il cappellaccio deve essere lasciato ad asciugare su un tagliere di acero o noce per almeno un’ora, lontano da qualsiasi fonte di calore.
Solo allora, quando la pasta inizia a imbiancarsi, è possibile iniziare la cottura.
Qualche istante nell’acqua bollente ed ecco che i cappellacci vengono a galla: è arrivato il momento di scolarli, uno a uno con un mestolo di legno, e adagiarli su un importante letto di ragù di agnello.
Una volta amalgamati occorre aggiungere un filo d’olio extra vergine e una leggera spruzzata di cacio raveggiolo.
I Cappellacci sono così pronti da essere gustati.
Mai come in questo caso vale il motto: “provare per credere!”





foto: prese online